FOTOGRAFIA
“scrittura della luce”
“Walter Ricardo Francone, sì, questo è il mio nome, ma qui non sto parlando di me, bensì di un’esperienza nell’immagine…”
Cercando nell’invisibile una luce…!
In questa immagine dove scatto la mia ombra, attraversata dalla forma simbolica di una croce, vuole racchiudere il significato del sacrificio nell’atto dello sguardo, come un atto d’amore. Il colore giallo identifica la luce, su un pavimento vissuto e scrostato, l’ombra come forma passeggera che trascrive un momento, il passare del tempo.
Il catechismo
Quando avevo otto o nove anni, iniziai a frequentare il catechismo. Ero parecchio curioso e non riuscivo a smettere di farmi domande sui misteri di Dio. Così, un giorno, mi decisi a chiedere al sacerdote. Gli corsi dietro con insistenza, cercando di ottenere risposte, ma lui mi disse solo: “È così. È basta.”
La mia curiosità era così intensa, ma quelle parole mi lasciano un senso di vuoto. Fu, per me, la prima domanda che rimase senza risposta.
Quello stesso giorno tornai a casa e dissi a mia mamma che non volevo più andare al catechismo. Le raccontai quello che era successo, spiegandole le mie ragioni. Lei, con molta calma, mi rispose semplicemente: “Va bene, del resto lo scoprirai da grande.”
Ci sono delle domande che mi sono posto nell’arco della vita, domande che sono, diciamo così, importanti. E questa credo sia stata la mia. È un aspetto che ti porti dentro, a volte per anni, senza mai trovare una risposta. E poi, un giorno, così, per puro caso o forse per destino, incontri la ragione di quelle domande. È come aprire un piccolo cofanetto dei segreti: lo apri, e dentro trovi quello che cercavi.

Foto scattata dalla mia cugina Esther al ingresso di casa.
Il cielo sopra Berlino
“un viaggio nella memoria e dell’esistenza”
Solo dopo aver visto il film “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders, ho concepito l’idea di lasciare il mio paese, l’Argentina.
“Vedere quegli angeli, capaci di correggere positivamente il sentimento delle persone, mi ha fatto comprendere che ovunque avessi deciso di andare, non sarei mai stato solo. Ci sarebbe sempre stato qualcuno a vegliare su di me.”
Il film si apre con i versi, “Elogio dell’infanzia di Peter Handke” una poesia che richiama un’epoca in cui l’uomo era libero dal peso della storia e del tempo:
“Quando il bambino era bambino,
era il tempo di queste domande:
Perché io sono io e perché non sei tu?
Perché sono qui e perché non là?”
Questi versi evocano un’innocenza primordiale, uno stato di meraviglia e curiosità prima che la realtà del mondo e della storia prendano il sopravvento.
Damiel e Cassiel si incontrano a parlare del tempo, di ciò che è stato, di un ricordo fatto solo di immagini, di un mondo ancora privo di storia. Gli angeli, per millenni, hanno osservato gli esseri umani dall’alto, ascoltando i loro pensieri, percependo le loro gioie e sofferenze, ma senza mai poter realmente “sentire”. Un’esistenza fuori dal tempo, testimoni della storia dell’umanità, ma privi di una propria narrazione. Damiel, invece, vuole immergersi nel flusso del tempo, avere un passato, un presente e un futuro, sperimentare il peso delle scelte, le emozioni dell’amore, il dolore della perdita. Soprattutto, desidera l’esperienza autentica delle emozioni vissute: il gusto di un caffè caldo, la percezione del vento sulla pelle.
Omero _il narratore, custode della memoria:
Il personaggio dell’anziano poeta rappresenta il testimone della storia. Egli incarna la memoria dell’umanità, proprio come l’antico poeta greco Omero, che cantava le gesta degli eroi affinché non venissero dimenticate.
Vagando tra le rovine della città, Omero si chiede:
“Dove sono rimaste le mie storie? Dove i miei racconti? È possibile che anche loro siano scomparsi?”
Le sue parole riflettono il timore che la memoria possa svanire, che il passato venga dimenticato e, con esso, anche l’identità di un intero popolo.
Il libro fotografico di August Sander, “Uomini del XX secolo” raccontano la memoria dell’uomo e il volto di un intero popolo. Un’opera che ha ritratto i volti di un’intera epoca, restituendo un’immagine autentica della società tedesca prima della guerra. Guardando quelle fotografie, il personaggio di Omero non vede solo singole persone, ma un’intera comunità, con le sue speranze, le sue paure e la sua storia incisa nei volti. E le sue domande non sono vuote…!
“Ed è proprio grazie a questo film, Il cielo sopra Berlino, che ho trovato il coraggio di intraprendere il mio viaggio in Italia. È stato il mio primo incontro consapevole con quella dimensione invisibile, come se fosse un messaggio inconscio di quella voce interiore, rappresentata in queste scene dall’angelo, il quale mi rassicurava indicandomi una via.”

L’arrivo a Roma
Arrivai in Italia alla fine del 1989 e, nonostante le peripezie che si possono incontrare in una terra lontana, non ebbi grosse difficoltà a inserirmi, trovando nella maggior parte dei casi una mano d’aiuto.
Nei primi due anni vissi a Roma. Era come essere stato catapultato nel passato: cercavo in ogni angolo, tra sculture, muri e mattoni, quel sentimento antico che aveva segnato la storia di un impero. Un’idea romantica, la mia, che ricordava le storie sfogliate all’interno dell’enciclopedia a casa di mia zia Elsa e i film visti grazie a lei, appassionata del cinema italiano, quelli degli antichi miti e il bianco e nero del neorealismo
← Il colosso di Rodi” è un film del 1961 diretto da Sergio Leone
Milano anno 1992
Appena arrivato a Milano, sono rimasto affascinato dall’imponente Stazione Centrale mentre scendevo dal treno. Era così emozionante che non riuscivo a contenere l’eccitazione per questa nuova città. Prendendo il tram numero 1 con interni in legno e sedili in legno, ho proseguito il mio viaggio, sempre più meravigliato, fino al Parco Sempione, dove sono sceso proprio all’Arena. Attraversando il parco, sono arrivato in piazza Cadorna e mi sono fermato in un bar per prendere un caffè. Il barista era gentile e cordiale, e mi sono sentito come in un sogno. La città mi aveva subito conquistato. Ho proseguito il percorso dal quartiere di Sant’Ambrogio, arrivando in via del Torchio angolo Cesare Corrente, dove ho incontrato lo zio di una cara amica argentina, Raul Arrieta. Si era trasferito da tempo a Milano e lavorava come grafico disegnatore. È stato lui ad aiutarmi a inserirmi nel mondo del lavoro e ricordo ancora che sono arrivato di giovedì e già il sabato lavoravo in una pizzeria. È stato un incontro meraviglioso, sia con questo gaucho argentino che con la città, e mi sono sentito subito a mio agio, senza mai voler andare via.

La città mi ha ricompensato con questo grande lavoro, MILANO XXI SECOLO

Marco Rigamonti e Giovanni Chiaramonte Studio Fotosintesi, Piacenza 2016
La Scuola
Dopo svariati lavori di fortuna, nel ‘93 ho deciso di frequentare un corso biennale di fotografia presso la “Civica Scuola di Fotografia” di Milano, conseguendo il diploma nel ‘95.
Ho sempre avuto la curiosità di comprendere i misteri del nostro abitare il mondo, e l’incontro con il professor Giovanni Chiaramonte mi ha dato la chiave per capire che una parte di queste risposte risiedeva già in me, erano disposte in fila, una dietro l’altra, mancavo solo di una cosa importantissima, “esperienza”.
Con Chiaramonte, l’insegnamento sembrava quasi un flusso ininterrotto di pensiero, un dialogo continuo con la realtà e con le immagini. Per Chiaramonte, la scuola era un luogo aperto: insegnava ovunque, anche durante i viaggi in macchina, trasmettendo continuamente concetti che stimolavano la riflessione.
L’avventura fotografica
Questa avventura fotografica è stata una scelta successiva, poiché ho sempre coltivato una passione per la scrittura. Indagare nella mia mente quel labirinto inconsueto di sentimenti ed emozioni è una sensazione di luce interiore che si accende all’orizzonte. D’altra parte, la fotografia, anch’essa una forma di scrittura, mi concedeva, per certi versi, il vantaggio di non sbagliare la grammatica. Tuttavia, ci è voluto del tempo prima che comprendessi cosa intendessi comunicare attraverso la fotografia.
Nell’immagine ritrovo un senso di libertà che va oltre ogni definizione fotografica. Se penso al fenomeno dello sguardo, è come se lo scatto di una foto fosse un atto spontaneo legato a quel momento e che l’immagine, in sé, rivelasse la sua vera natura in un secondo momento, a volte dopo anni. Nel rispetto di questa natura, non riesco e mi rifiuto anche di pensare di appartenere a una qualche categoria fotografica. Per me, se non fosse così, raccoglierei una montagna di congetture senza senso. Mi piace sperimentare, immortalando ciò che mi riguarda, immergendomi nelle sensazioni e affogandomici dentro. La mia visione dell’immagine si basa su alcuni principi: lo sguardo che, attraverso l’obiettivo, coglie un messaggio istantaneo, qualcosa che, in quel momento, in rapporto alla realtà, mi sta indicando qualcosa.

Taccuino Secondo Esperienza, Pubblicato nel progetto effe0 2006
I QUATTRO LATI DELL’INQUADRATURA

Il filo che vorrei far conoscere è quello lasciato dall’insegnamento di questo grande maestro, quello che ho appreso. Durante il periodo scolastico, Chiaramonte ci ha fornito uno schema per realizzare un’immagine fotografica.
“Pavel Florenskij pone la parola sguardo-volto non soltanto come immagine dell’uomo ma anche degli altri esseri e realtà, visione come sinonimo della parola manifestazione”, Incontro, luogo dove posare lo sguardo, lo stupore di dare all’opera i suoi quattro lati dell’inquadratura.
In questa somiglianza il volto diventa immagine, il Sé.
Anagogico
interpretazione di una scrittura in senso mistico e divino.
Allegorico
il lato di una figura in cui un concetto astratto viene espresso attraverso un’immagine, rappresentando qualcosa di più profondo.
Morale
ciò che insegna riguardo i comportamenti e le azioni da compiere nella vita quotidiana, il lato giusto e onesto delle cose.
Letterale
il lato dove viene tradotto ogni singolo aspetto dell’immagine è interpretato nel suo significato più diretto, legato alle circostanze storiche in cui è stato creato.