Il tempo
Ricomporre la somiglianza perduta…
Il concetto di tempo riveste un ruolo cruciale per l’uomo occidentale. Nella tradizione ebraico-cristiana, in cui l’essere umano è descritto come creato a immagine e somiglianza di Dio, si afferma che, a seguito del peccato originale, l’immagine sia rimasta intatta, mentre la somiglianza è stata infranta, la via del cammino nel tempo, la vita umana, dunque, diventa un percorso finalizzato a ricomporre questa somiglianza perduta.
Un esempio illuminante ci viene offerto da Brunelleschi e dalla riscoperta della prospettiva. Gli artisti del Rinascimento, raffigurando figure umane, sembrano essere consapevoli di partecipare a una sorta, «tra virgolette», di ricostruzione dell’“immagine e somiglianza di Dio”.
Osservare i mosaici di Ravenna e quelli del Duomo di Monreale
Permette di cogliere questa dimensione:
l’arte diventa uno strumento attraverso cui il tempo si intrecciano con questa esperienza, guidando l’uomo nella sua ricerca di armonia, di una figura.
Mosaico della cupola del Battistero Neoniano, Ravenna Arte

Mosaici del duomo di Monreale: In alto: fascia inferiore dei mosaici della parete nord della navata. In basso: fascia inferiore dei mosaici della parete sud della navata.
Un commento su Paul Strand, uno dei più grandi fotografi. Sarà stato uno tra i dieci iscritti al Partito Comunista, ed è uno dei motivi che negli anni ’50 lo portarono a lasciare gli Stati Uniti. Viene in Europa in esilio (oggi gli americani lo definiscono un grande americano). Arriva in Francia e, tra i tanti amici che aveva in Italia, c’era Cesare Zavattini, regista e scrittore.
Strand, insieme a Zavattini, intraprende un viaggio attraverso l’Italia. Arrivati ad Arezzo, Zavattini lo porta a vedere gli affreschi di Piero della Francesca. Paul Strand, americano, non sapeva chi fosse Piero della Francesca, non lo aveva mai sentito nominare.
Di fronte a questi dipinti, egli disse:
“Questo è quello che ho tentato di fare per tutta la mia vita.”
Raccolti diffusi da G. Chiaramonte.

Piero della Francesca, Affreschi Basilica di San Francesco, Museo di Arezzo.
La fotografia cattura da un punto nello spazio e nel tempo. Da quel punto, la fotografia ha la pretesa di spiegare e rispecchiare “spazio e tempo”. Una bella pretesa. Io seguo un punto nello spazio e nel tempo, e faccio “click”. L’obiettivo trascrive lo spazio in maniera prospettica e speculare, mentre l’otturatore trascrive il tempo: a seconda di quando premo per fare scattare l’otturatore, l’immagine cambia completamente.
Quindi, la macchina fotografica è una macchina, nello specifico “spazio-temporale”. Ciò significa che il punto nello spazio e nel tempo in cui si trova il fotografo e fa “click”, “diventa immagine”. Ciò che sto vedendo da qui, e il tempo in cui lo vedo, devono essere rappresentativi, devono spiegare qualcosa di significativo.
Una fotografia, un’immagine, che mi parla in maniera autentica della realtà, mi spiega in modo profondo, “significativamente” ciò che io non riesco a vedere.
Il fotografo deve credere che nella vita esista un significato che egli è chiamato a comprendere. Se per un fotografo non c’è significato alcuno, allora le uniche foto che potrà scattare saranno quelle “della fine del mondo, dell’apocalisse”.
“L’apocalisse dentro lo sguardo”
È molto più semplice scorgere e riconoscere il male nelle cose: ha un potere seduttivo, si manifesta con chiarezza e si alimenta del nostro sguardo, trascinandoci nella sua ineffabile desolazione. È immensamente più difficile ribaltare quella sensazione in cui tutto sembra privo di significato, trasformare quel groviglio di oscurità in una scintilla capace di trovare, nel caos e nella desolazione, un segno, un frammento di luce che possa diventare speranza. Questa capacità del fotografo risiede nel fatto che, nel suo sguardo, egli deve saper “Amare” prima di ogni scatto.
Una corrente fotografica sta lavorando con grande coerenza sul concetto di “fotografia forense”.
L’attrice americana Diane Keaton ha raccolto una serie di fotografie che documentano “incidenti mortali” e “roghi devastanti”. Una selezione curata insieme al fotografo Nick Reid, pubblicata nel libro intitolato “Dead of Night” dall’editore Twin Palms Publishers nell 2021. Le immagini, caratterizzate da un uso sapiente del bianco e nero , accentuano la cruda natura dei soggetti ritratti.
L’autore delle immagini, Robert Boltz , era un medico legale incaricato di realizzare una dettagliata documentazione fotografica degli incidenti automobilistici notturni. Attivo nella contea di Washington, Wisconsin , negli Stati Uniti, “si presume abbia realizzato queste immagini tra gli anni ’50 e ’60”, “periodo che si può dedurre dalla loro resa visiva e dai dettagli delle fotografie stesse”.
← Robert Boltz, incidente
Boltz è riuscito a trasformare uno “scenario di morte e distruzione” in immagini capaci di evocare emozioni complesse. Ogni scatto, è un potente impatto visivo, trova in quell’oscuro silenzio una forma di espressione che non si ferma alle lamiere contorte, ma va oltre.
Nonostante documentino scene del crimine, queste fotografie trascendono il loro scopo originale. Offrono una riflessione “caratterizzata dall’assenza totale di figure umane”. È come se proprio questa assenza permettesse all’osservatore di percepire una “dimensione ulteriore del dramma”.
Come osserva Giulio Piovesan sulla rivista Foto-Cult , “le fotografie di Boltz, pur essendo estremamente chiare e dettagliate, sono domande senza risposta”.
Potremmo definirle «immagini che non dicono niente», perché dentro questo “silenzio visivo”, “caratterizzate dall’assenza totale del tempo”, la fine del mondo, l’apocalisse è già avvenuta.
Robert Boltz, incendio →
Giulio Piovesan, nel suo articolo, inserisce altri due riferimenti che arricchiscono questo concetto: le architetture di Hiroshi Sugimoto e gli scatti di Todd Hido.

Hiroshi Sugimoto, architetture

Todd Hido, interiors

Andy Warhol, White Disaster - White Car Crash 19 Times, 1963.
Per quanto riguarda Andy Warhol
l’opera (White Disaster – White Car Crash 19 Times 1963),
il discorso, ahimè, è molto diverso: egli tratta la scena come una costante, ripetendola ossessivamente fino a svuotarla, “apparentemente di significato”.
Non so se possiamo dar torto a questo tipo di espressione, vista la storia:
“ciò che è avvenuto”, “ciò che sta avvenendo”, e, certo, “ciò che avverrà”.
Questo non possiamo saperlo:
… ma, abbiamo già visto la “ferocia” con cui l’uomo “determina il corso della propria vita”