IL MECCANISMO
del pensiero “ideologico”
Francis Fukuyama La fine della storia...!
Lo scrittore americano di origine giapponese Francis Fukuyama, dopo la caduta del muro di Berlino, dichiarò che “la storia era finita”, sostenendo che, poiché l’Occidente aveva vinto e si era liberato dal conflitto ideologico, la storia stessa non avrebbe avuto più sviluppi significativi. Questo concetto è stato descritto nel suo saggio del 1992, (The End of History and the Last Man, pubblicato in italiano come La fine della storia e l’ultimo uomo).
“La nostra storia personale, da quel momento, si è conclusa. Siamo diventati le persone che eravamo destinati a diventare, e lo resteremo per il resto della vita”. Fine.
Un concetto terribile. Se non facciamo più storia, significa che possiamo solo vivere nel ricordo degli avvenimenti passati.
“il che vorrebbe dire che, in questo momento, non stiamo facendo nulla di nuovo e non abbiamo più nulla da raccontare…!”

Persone in cima al Muro di Berlino vicino alla Porta di Brandeburgo il 9 novembre 1989. – Il testo sul cartello “Achtung! Sie verlassen jetzt West-Berlin” (“Nota! Stai lasciando Berlino Ovest”) è stato modificato con un testo aggiuntivo “Wie denn?” (“Come mai?”).
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Nazioni intere dietro un ideologia:
In Germania i tedeschi hanno combattuto fino all’ultimo giorno a Berlino, ragazzi quindicenni che sparavano fino all’ultimo, hanno avuto circa dieci milioni di morti, una città come Berlino rasa al suolo.

Un soldato della Wehrmacht tedesca, giace morto a terra con lo sfondo la porta di Brandeburgo, Berlino 1945
La scena finale della Seconda Guerra Mondiale in Europa, con la battaglia di Berlino, offre uno degli esempi più estremi della potenza e del pericolo dell’ideologia. Giovani quindicenni armati, cittadini ridotti alla disperazione e soldati che combattono fino all’ultimo respiro raccontano molto più di una semplice resistenza militare:
“narrano la capacità di un sistema ideologico di radicarsi così profondamente nella coscienza collettiva da superare persino l’istinto di sopravvivenza”.
“L’ideologia come costruzione totalitaria”
Un’ideologia totalitaria non si limita a dettare regole o a controllare le istituzioni, ma plasma l’individuo nel profondo. Il regime nazista non ha solo imposto leggi o richiesto obbedienza, ma ha costruito un sistema di valori in cui l’identità individuale si dissolve nell’identità collettiva della nazione. La Germania nazista ha offerto un’illusione di grandezza, di destino comune, e quando quella visione ha iniziato a sgretolarsi, ciò che rimaneva era la paura di un vuoto insostenibile.

Nascita il Terzo Reich 1933, il primo raduno presso il sito di propaganda a Bückeberg, Adolf Hitler leader della Germania nazista, durante una conferenza del partito con il suo entourage al centro dell’immagine.

Soldati della Gioventù Hitleriana, catturati durante l’offensiva delle Ardenne, dicembre 1944.
“Il sacrificio come valore ultimo”
In un contesto dove l’individuo è annullato a favore di un progetto più grande, il sacrificio assume un valore quasi sacro. Ragazzi di quindici anni che combattono, non lo fanno solo per obbedienza, ma perché hanno interiorizzato l’idea che la loro vita abbia un senso all’interno di una narrazione più ampia. In questo contesto, il sacrificio della propria vita non è più percepito come la fine, ma come un atto di coerenza verso l’ideologia che li ha in definitiva “indottrinati”.
Il “rogo dei libri”
Berlino, Il 10 maggio 1933, fu un evento simbolico orchestrato dal regime nazista per eliminare opere ritenute “non tedesche”. A Berlino, sulla piazza dell’Opera (Opernplatz, oggi Bebelplatz), studenti universitari bruciarono pubblicamente libri di autori ebrei, oppositori politici e scritti ideologicamente incompatibili con il nazismo. Questo atto faceva parte dei “Bücherverbrennungen”, una campagna di censura e propaganda volta a consolidare il controllo culturale del regime.
Manifesto USA: «Dieci anni fa i nazisti bruciarono questi libri… ma i liberi americani li possono ancora leggere!»

Le vittime delle Bücherverbrennungen.
Ogni ideologia che si pone come assoluta porta con sé un rischio inevitabile, “l’incapacità di accettare la sconfitta”. Il risultato è spesso l’autodistruzione, una città come Berlino rasa al suolo non è solo il simbolo della sconfitta della Germania, ma anche il culmine logico di un sistema che “non poteva sopravvivere alla sua stessa narrazione”. Se il destino della nazione era legato al suo trionfo assoluto, “allora la sconfitta non poteva che essere totale”.

Aerei giapponesi in preparazione verso Pearl Harbor
Il Giappone Seconda Guerra Mondiale
Alleato della Germania e dell’Italia, il Giappone perseguì con determinazione l’espansione del proprio “Impero del Sol Levante”. L’attacco a Pearl Harbor portò gli Stati Uniti direttamente nel conflitto, segnando una svolta decisiva nella guerra.
Il Giappone, con la sua flotta aerea composta da kamikaze — giovani piloti pronti a sacrificare la propria vita per l’impero — rifletteva una mentalità profondamente radicata nel “bushido”, il codice d’onore dei samurai. Questi piloti erano il terrore delle flotte alleate.
Per i giapponesi, perdere in battaglia rappresentava un grande disonore; per evitare la cattura e l’umiliazione come prigionieri, molti si votavano al suicidio.
L’ultimo soldato fantasma del Giappone
Un piccolo gruppo di soldati giapponesi si nascose nella giungla delle Filippine durante il conflitto. L’ultimo di loro si arrese solo trent’anni dopo la fine della guerra.
Hiroo Onoda fu inviato il 26 dicembre 1944 sull’isola di Lubang, nelle Filippine, con il compito di ostacolare l’avanzata nemica insieme ai soldati già presenti sull’isola.
“Aveva ricevuto l’ordine di non arrendersi, nemmeno a costo della propria vita”.
Hiroo Onoda nel 1944
Il soldato dell’esercito imperiale giapponese Hiroo Onoda (a destra) offre la sua spada militare al presidente filippino Ferdinand E. Marcos (a sinistra) il giorno della sua resa, l’11 marzo 1974.
Questa vicenda, simbolo di dedizione assoluta, rappresenta il confine tra il coraggio e l’ostinazione, tra la devozione alla patria e la perdita del senso della realtà. Ritrovato nella giungla di Lubang nel 1974, Onoda trascorse quasi trent’anni convinto che la guerra non fosse finita.
La sua resa, avvenuta dopo questo lungo isolamento, fu un evento quasi surreale. Resa possibile solo dall’intervento del presidente filippino Ferdinand Marcos, simboleggiò non solo la fine di una missione personale, ma anche il tramonto di un’epoca nella storia del Giappone.
Le vittime della seconda guerra mondiale si stima per un totale, tra militari e civili, compreso tra 60 e 68 milioni di morti.
Un bilancio drammatico, che invita a riflettere sulla natura dell’essere umano e comprendere ciò che semina e riflettere sui meccanismi di questo pensiero.
La cultura gioca un ruolo cruciale in questo processo. Il pensiero ideologico, presente in tutte le forme culturali, spesso si trasforma in una forza pervasiva, capace di rendere l’uomo vittima delle sue stesse idee, convertendo un’idea in un idealismo.
È sorprendente constatare come, nonostante le lezioni della storia, il mondo contemporaneo disponga ancora di circa 15 mila bombe nucleari. Questo dato dovrebbe farci riflettere sulla fragilità della ragione e sull’urgenza di comprendere ciò che sta accadendo oggi, per riprendere quel filo della razionalità che sembra essersi perso.
La Propagnada
L’arte è un sintomo, anticipa quello che potrebbe essere, l’arte rende visibile quelle forze che intuisce che esistono e che ancora non sono totalmente visibili.
Uno potrebbe non essere d’accordo su quello che è visibile…!
È certo che l’arte e sempre un sintomo premonitore di quelle forse della natura raccolte dall’artista e messe in opera.
Prima c’è stata l’arte astratta e poi c’è stata la bomba atomica:
_il concetto, da un certo punto di vista, è analogo.
La relazione tra l’arte astratta e la bomba atomica sottolinea come l’arte abbia la capacità di anticipare e percepire i cambiamenti o i fenomeni significativi che aleggiano nella società. Si tratta di un’analogia legata alla complessità di un periodo storico in cui le idee di una determinata civiltà sono crollate nel caos, generando una totale mancanza di visione.
Si potrebbe spiegare come l’arte, attraverso la sua “natura visionaria”, riesca a percepire questi cambiamenti culturali e sociali prima che si manifestino pienamente. Con maggiore chiarezza, molti artisti avvertirono l’esigenza di sviluppare un nuovo tipo di arte che potesse incorporare i profondi cambiamenti dell’epoca. L’astrattismo nato nel XX Secolo può concretamente, attraverso la pittura, esprimere messaggi e concetti “non figurativi”, immagini che non vogliono rappresentare la realtà. Un’immagine, in sé e per sé, totalmente irriconoscibile.
L’arte è grande perché svela prima, anticipando ciò che sta per succedere.
La propaganda Sovietica
Il fotomontaggio fotografico nella propaganda sovietica rappresentò uno strumento potentissimo per comunicare messaggi ideologici, sfruttando al massimo le avanguardie artistiche del tempo. Questa tecnica, ispirata alla pittura cubista e al collage, combinava immagini e testi in composizioni audaci, capaci di catturare l’attenzione e di veicolare concetti complessi con immediatezza.
Nato in un periodo di grandi cambiamenti sociali e politici, il fotomontaggio si inserì nel clima culturale della Russia post-rivoluzionaria. L’arte non era più vista come un’espressione individuale, ma come uno strumento collettivo al servizio dello Stato e del popolo. L’influenza del cubismo e del futurismo si tradusse in opere che rompevano con la prospettiva tradizionale, creando immagini dinamiche e frammentate, capaci di riflettere il ritmo frenetico del progresso.
Il fotomontaggio sovietico non era soltanto uno strumento di persuasione, ma anche un mezzo per creare una nuova estetica visuale che incarnasse i valori del socialismo. Questa sintesi tra arte d’avanguardia e propaganda non solo rifletteva le ambizioni della rivoluzione, ma contribuì anche a definire l’immaginario visivo di un’intera epoca. Veniva utilizzato nei manifesti, nelle riviste e persino nei libri scolastici.
La propaganda in Unione Sovietica “Morte agli invasori nazi-fascisti!” – Poster del 1945
Manifesto di Gustav Klutsis, “Alzate più in alto la bandiera di Marx, Engels, Lenin e Stalin!” 1933