Queste immagini hanno cambiato il pensiero dell’Uomo e il modo di rapportarsi con il Mondo. Eredità alla quale l’umanità non dovrà mai …
…DIMENTICARE
ogni immagine ha una storia,
pensa quanto hanno fatto
per questo pianeta […]
Pubblicato il 06 marzo 2009 da blogeffe0
Foto di Félix Nadar - Pierrot il fotografo
Nicéphore Niépce, vista dalla finestra a Le Gras, 1826 – Considerata la più antica fotografia sopravvissuta.
Niépce con una camera oscura inserendo al interno una lastra rivestita sottilmente di bitume di Giudea, un asfalto naturale. Il bitume si induriva nelle zone fortemente illuminate, ma nelle zone scarsamente illuminate rimaneva solubile e poteva essere lavato via con una miscela di olio di lavanda e petrolio bianco. Un sistema che egli chiama «eliografia» che sarà la sua vera invenzione, per fissare un’immagine era necessaria un’esposizione molto lunga circa otto ore o più.
Helmut Gernsheim, uno dei massimi storici e collezionisti di fotografia dell’epoca. La cui appassionata ricerca per questa forma d’arte, lo ha portato nell’anno 1952 a ritrovare la prima immagine fotografica della storia: “Vista dalla finestra a Le Gras” di Joseph Nicéphore Niépce, scattata nel 1826. La lastra originale era così poco definita che Gernsheim decise di realizzarne una riproduzione per rendere più chiari i dettagli della scena. Grazie a questo ritrovamento, la fotografia di Niépce diventata riconoscibile trovando il posto che merita nella storia.
Louis Daguerre, veduta del Boulevard du Temple – Parigi 1838.
Louis Daguerre e Joseph Nicéphore Niépce
furono due pionieri della fotografia che collaborarono per sviluppare il primo processo fotografico. Dal 1829, collaborarono scambiandosi idee e progressi in una fitta corrispondenza. Dopo la morte di Niépce nel 1833, Daguerre continuò a lavorare sul processo, apportando miglioramenti e chiamando l’invenzione “dagherrotipo”
Questo metodo fissava un’immagine su una lastra d’argento, consisteva in cinque operazioni principali:
1. Pulizia e lucidatura di una lastra di rame argentato
2. Sensibilizzazione della lastra con vapori di iodio
3. Esposizione della lastra alla luce in una camera oscura
4. Sviluppo della lastra con vapori di mercurio
5. Fissaggio della lastra con una soluzione di tiosolfato di sodio
Il risultato era un’immagine unica, su una lastra di rame argentato, non riproducibile. Daguerre perfezionò questo processo e lo presentò ufficialmente all’Accademia delle Scienze nel 1839
Lo scrittore statunitense Oliver Wendell Holmes definì il dagherrotipo,
“Uno specchio dotato di memoria”.
Louis Daguerre, la fotografia del Boulevard du Temple del 1838 circa.
L’immagine sembra raffigurare una strada deserta, ma in realtà è densamente popolata da persone. Nonostante il tempo di esposizione fosse ridotto a soli otto o dieci minuti, rispetto alle otto ore impiegate da Niépce, la foto è riuscita a catturare un uomo mentre lucidava le scarpe, diventando così la prima fotografia a includere l’immagine di un essere umano.
DAGHERROTIPO
Il governo Francese acquisterà il brevetto del “dagherrotipo” e verrà presentata all’Accademia delle Scienze il 7 gennaio 1839, con un ampia relazione da Jean-Francois Arago.
Successivamente dopo sei mesi di questo incontro il 19 agosto 1839, verrà annunciato ufficialmente i secreti della dagherrotipia.
La scoperta si diffonderà rapidamente in tutto il mondo occidentale.
Ritratto di un dagherrotipista, espone i dagherrotipi in custodie racchiuse in un cofanetto.
La “mania del Dagherrotipo” era appena iniziata
Daguerre, insieme al figlio di Niépce e il suo cognato Alphonse Giroux fondarono una società per la produzione della strumentazione necessaria ad ottenere i dagherrotipi.
Questa è la prima macchina fotografica prodotta commercialmente al mondo, un dispositivo destinato a esercitare una profonda influenza in quasi ogni fase della vita di ogni uomo e del mondo.
Un commento dell’epoca…
«Chi avrebbe creduto, pochi mesi fa, che la luce, essere penetrabile, intangibile, imponderabile, priva, insomma, di tutte le proprietà della materia, avrebbe assunto l’incarico di pittore, disegnando propriamente da sé stessa e con la più squisita maestria quelle eteree immagini che dianzi dipingeva sfuggevoli nella camera oscura, e che l’arte si sforzava invano di arrestare? Eppure, questo miracolo si è compiutamente operato fra le mani del nostro Daguerre.»
(Macedonio Melloni, *Relazione intorno al dagherrotipo*, 1839)
La fotocamera per la dagherrotipia era composta da una scatola di legno, una fessura per la lastra di rame sul retro e frontalmente un obiettivo fisso, in vetro e ottone.

Natura morta con calchi in gesso, realizzata da Daguerre nel 1837
Lucrecia Guerrero Uribe, dagherrotipo 1848
José de San Martín – Parigi, 1848