Milano XXI secolo

Reportage Mostra di Fotografia
CENTRO CULTURALE DI MILANO

“..percosso da novo crescente romor” (Manzoni, Coro dell’Adelchi)
4 ottobre – 10 novembre 2006
Orari mostra:
Dal lunedì al sabato: dalle 10,00 alle 13,00 – dalle 15,00 alle 18,00 – Chiusura: domenica
120 immagini di grande formato:
Sala del Centro Culturale di Milano, via Zebedia, 2
e in open space in via Zebedia, isola pedonale – www.cmc.milano.it

Una Mostra di Fotografia, un libro, un’idea editoriale e un dibattito che attraverso l’immagine e la parola propone un racconto nuovo e originale della vita della città di Milano di oggi e del futuro a partire dal vissuto. Una mostra di 120 immagini, un reportage originale frutto di una campagna di 3 mesi con oltre 3000 scatti di grande impatto e intensità, eseguito da tre giovani ed affermati professionisti fotografi, cresciuti nella scuola della fotografia milanese e, oggi, protagonisti di importanti agenzie internazionali.
Il libro-catalogo, di CUSL editore, distribuito in tutte le librerie, reca oltre alle immagini 60 pagine di interviste ad intellettuali ed esponenti della vita milanese, a cura di giornalisti e scrittori.

Curatore della mostra: Giovanni Chiaramonte
Fotografi: Alessandro Tosatto, Silvia Morara, Walter Ricardo Francone.
Interviste dei giornalisti e scrittori: Luca Doninelli, Stefano Zurlo, Giuseppe Frangi, Maurizio Crippa, Maurizio Caverzan
Intervistati: Stefano Boeri, direttore di Domus, Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione
Sussidiarietà, Giulio Sapelli, Presidente Asam e docente di Storia Economica Un. degli Studi di Milano, Paolo Galassi, Presidente Confai e Apimilano, Santo Versace, Gruppo Gianni Versace SpA.
Da un’idea di: Camillo Fornasieri, Direttore del CMC e Presidente della Fondazione Stelline.

L’idea editoriale muove dai valori che disegnano il volto oggi di Milano, riprendendo anche spunti recenti nati da libri e riflessioni pubbliche.
In un momento di rinnovamento e riflessione che la città vive, Milano sembra “..percosso da novo crescente romor”, sia che esso, come diceva Manzoni, preannunci popoli alle porte o l’approccio a un futuro complesso, sia che indichi un nuovo modo di sentire l’accadere del reale nel suo quotidiano rumore di bellezza e di prova. L’urgenza di trovare il gusto del vivere quel bisbiglio di cui parlava un altro lombardo, Rebora, in una celebre poesia dei Frammenti Lirici.
Gli Enti che promuovono insieme al Centro Culturale di Milano la manifestazione sono:
Comune di Milano Assessorato ai Giovani e Ferrovie Nord; con il Patrocinio di Comune e Provincia di Milano e Regione Lombardia.
Il Centro Culturale di Milano promuove questo lavoro in occasione dei suoi 25 anni di attività, come occasione di cultura e condivisione che saranno riassunti in un dibattito che si terrà con i protagonisti del libro e della Mostra.
Fondato da don Giussani nei primi anni ’80 il CMC ha ricevuto nel 2000 la Medaglia d’oro del Comune di Milano nel 2000.
La Mostra verrà inaugurata il 4 ottobre alle ore 18,00 con la partecipazione del Sindaco di Milano, Letizia Moratti, presso la Sala di via Zebedia, 2 (Piazza Missori). Immagini di formato più grande verranno invece collocate in una situazione ‘urbanistica’ lungo tutto il fianco della pedonalizzata via Zebedia fino alla Basilica di Sant’Alessandro.
La sequenza degli scatti e le interviste propongono un ritratto della vita della città di Milano e le sue prospettive. Si è cercato l’uomo in azione, la quotidianità della persona, i valori che essa esprime nell’arco di una giornata negli ambienti e luoghi simbolici della città. Il tempo vissuto che viene ritratto è quello del lavoro, del mattino, della convivenza, del viaggio, quello religioso e quello libero, insieme alle situazioni che fanno il volto di Milano, come la scuola, l’università, la periferia e il senza confini; l’azienda familiare, l’editoria, le vetrine e il centro; insieme al vissuto del volontariato, della famiglia, dei single, della multietnicità, dei cantieri e dei quartieri.
A livello artistico e culturale una nuova rappresentazione, preparata da oltre 3000 scatti svolti in una fitta campagna di reportage durata tre mesi; un nuovo neorealismo in fotografia per Milano, che porta alla luce, anche con ironia, i valori vissuti.
Senza nascondere emergenze e difficoltà, si presenta la tipologia umana che costruisce Milano, quella che si è integrata, quella che, nella difficoltà, si relaziona; in sintesi si vuole ridire l’esistenza dell’ambrosianità, cristiana, libertaria, riformista e che consiste nel rifiuto del “fatalismo”, meglio, in una speranza legata alle esigenze del cuore, e alla convivenza come dimensione che le evidenzia e le sostiene.
Quel volto della città condiviso, a volte, relegato in secondo piano rispetto alle emergenze, o raramente considerato forza vitale della città, manifesta l’energia dell’uomo in azione. Si può così parlare di reportage umano in rapporto all’ambiente e alla città.

Biografie dei fotografi:

Silvia Morara (Bologna, 1971), laureata in filosofia nel 1997. Collabora a Milano con diverse agenzie fotografiche (Franca Speranza, Iber-
Press, LaPresse). Numerosi i reportage effettuati leggendo le situazioni, anche quelle di drammatica attualità, alla luce della storia, dell’arte e
della cultura: Ghana, Sud Africa, Iran , Israele-Palestina, Afghanistan, Pakistan, Italia, Unza, Kosov.

Alessandro Tosatto (Piombino Dese (PD), 1969. Si forma a Milano nella civica Scuola di Fotografia. Lavora sulla cronaca della città, collabora
con agenzie milanesi e con l’Associated Press e dal 1997 è nello staff di Contrasto.
Numerosissimi e di frontiera i suoi viaggi e reportage: nei paesi balcanici con l’assedio di Sarajevo, Romania, Macedonia, Albania, punto
d’osservazione privilegiato per il conflitto in Kosovo.
In Iraq – in tempo di pace e di tensione da embargo – e in Turchia. Israele/Palestina dopo la tragedia dell’11 settembre 2001, in Pakistan e
Afghanistan aspetta la caduta del regime Talebano, documenta il cambio di governo e la speranza della popolazione civile. Poi l’Africa, Malati,
Nigeria, Benin, Mali, Guinea Bissau e in Georgia.

Walter Ricardo Francone (Lujàn-Buenos Aires Argentina 1966), immigra in Italia dopo l’inflazione economica degli ultimi anni ‘80. Si
inserisce a Milano specializzandosi in studio dell’immagine come visione ottica presso la “Civica Scuola di fotografia”. Grande sensibilità ed
intuizione gli permettono di lavorare in svariati ambiti professionali affermandosi come fotografo free-lance. Raccoglie grandi consensi nel
mondo professionale e dell’arte. I suoi
interventi:
Sri Lanka Tea, Berna e dintorni, Personaggi, Trasformazione urbana Milano Collabora con Rizzoli Publishing Italia, Agenzia Fotografica Emblema,
T3- Gruppo Editoriale Futura.

No image, no history

Nella civiltà della comunicazione e della interazione globale, nell’epoca del mondo declinato in immagine, la storia e il destino nella dimensione personale e sociale non possono esserci senza la memoria della fotografia e senza la rappresentazione data dall’obbiettivo nel cinema e nella televisione.
La crisi che sembra attraversare Milano e che si riverbera nelle discussioni senza fine sulle pagine dei quotidiani e della saggistica non è certo economica o produttiva, ma riguarda propriamente la ragione dell’opera umana la quale, senza una forma e una figura che la metta in scena, perde il fondamento del proprio essere e la forza del proprio rinnovarsi nel divenire del presente. La perdita di identità della città che traspare dalle narrazioni di scrittori come Luca Doninelli o di poeti come Franco Loi e Umberto Fiori è certamente dovuta alla mancanza di racconti visivi nella coscienza
comune contemporanea.
Di fronte allo scempio prospettato in piazza S. Ambrogio, luogo generativo dell’identità milanese sul versante religioso e civile, solo la voce di Vittorio Sgarbi è stata in grado di porre a livello politico il problema della sua salvaguardia, cercando di fermare l’inizio dei lavori del nuovo parcheggio. In effetti, nell’amaro commento dello storico dell’arte Carlo Bertelli, per i milanesi di oggi S. Ambrogio può essere stato solo il fondatore dell’ omonimo banco: in questa difficile condizione si pongono i tre racconti visivi di Ricardo Francone, Silvia Morara e Alessandro Tosatto.
La comune misura del formato quadrato e del colore come forma simbolica permette al nostro sguardo di concentrarci su ciò che ogni fotografia cerca, indica e mostra, permettendo di cogliere nella singolare diversità delle visioni il necessario riflesso della complessità urbana contemporanea.

La sequenza di Ricardo Francone parte da Piazza Duomo e sembra seguire il flusso della folla che dalle vie del centro si dirada via via verso la periferia, verso gli ampi spazi dei quartieri moderni e delle nuove edificazioni, dove paradossalmente è più facile incontrare e mettere a fuoco il volto di chi ci passa accanto. L’inquadratura di Francone si irradia a partire dal centro prospettico posto sull’infinito, donando profondità contemplativa all’ormai cronica
superficialità del nostro sguardo che, immagine dopo immagine, può finalmente immergersi nel primo piano del tempo presente dove si genera il futuro. Così,. nelle ultime fotografie, anche gli edifici come la Stazione Centrale e il grattacielo Pirelli possono porsi come figure viventi e significative, al pari degli uomini, nella forma sospesa e felice di una umana commedia della città.

Silvia Morara armonizza il proprio racconto sulla istantanea sensibilità del cuore e, rinunciando alla ferma stabilità dell’inquadratura su cavalletto, decide di fotografare camminando dentro il divenire delle azioni e dei gesti umani, cercando di portare a visibilità i sentimenti nascosti nell’intimo di ogni pensiero: dai pendolari in viaggio nel mattino verso la città, ai giovani che lavorano. nelle comunità di recupero del Corvetto o che studiano nelle biblioteche delle università, facendoci attraversare i riflessi speculari delle vetrine, i verdi spazi del parco Giussani e i colori artificiali delle happy hour nelle vie della moda o nell’ipermercato di piazzale Accursio, sino al tramonto che cala col sole nel mosso di una tenda che svolazza da una finestra affacciata sulle risaie della Barona.

Alessandro Tosatto, partendo dalla processione nel crepuscolo della festa di Santa Rita, che si apre lungo il viale Omero, privilegia lo spazio interno della casa, della redazione di un quotidiano come di una officina e, anche quando il suo sguardo attraversa l’esterno della città, esso si posa sulle chiuse geometrie dei campi da gioco delle periferie. Nella ricerca degli atti significativi del vivere, lo sguardo di Tosatto incontra figure e gesti del rito religioso di una comunità straniera, a testimonianza della dimensione che ha sostenuto per secoli l’anima di questa città. In questa apertura, la sequenza si declina lungo l’asse di via Torino per chiudersi con una visione dall’alto di piazza Duomo, dove il velo di una tenda sembra alludere all’interno del cuore dove si origina la forma visibile di ogni abitare.

La visione di questi fotografi si è formata nella Civica Scuola di Fotografia di Milano, in uno degli spazi educativi creati tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento secondo quello spirito ambrosiano che ha avuto nell’educazione all’opera e al lavoro il fulcro del comune destino al vivere e all’abitare. Qui hanno potuto incontrare e studiare le vicende e le opere di Alberto Lattuada, Piero Donzelli, Paolo Monti, Mario Carrieri, Ugo Mulas, le cui immagini hanno dato identità alla storia di Milano del secondo dopoguerra. Di fronte alle fotografie del volume Occhio quadrato di Alberto Lattuada hanno potuto ascoltare le sue parole scritte a quelle immagini che hanno dato vita alla stagione del Neorealismo: “Gli uomini hanno perduto gli occhi dell’amore e non sanno più distinguere alcuna cosa, brancolano in una oscurità di morte [per questo è] urgente ritornare a guardare gli uomini con gli occhi dell’amore.”


di Giovanni Chiaramonte

Prefazione
Vogliamo chiederci in cosa consista la forza e l’originalità di Milano perché ne abbiamo a cuore il futuro a partire da un gusto e uno stupore per il suo presente e passato.
Qual è la risorsa di questa città, quali fattori la tengono in piedi, unita e in cammino? Quali sono, ad esempio, le priorità di fronte ai problemi di sviluppo, crescita umana, culturale ed economica? Ed anche rispetto alle ferite della povertà e di fronte al tempo breve in cui capire la storia che cambia e immaginare un integrazione con persone di culture diverse.

E’ nell’uomo in azione, nella nostra umanità mentre si esprime, che si può intravedere come sta Milano, qual è l’idea di città che, mentre lavoriamo, progettiamo, camminiamo, stiamo affermando e costruendo, separati o insieme.
Per ciò stesso che viviamo affermiamo un significato per cui vale la pena vivere e lo mostriamo, volenti o nolenti, a noi stessi –se siamo attenti agli occhi di tutti.
Un reportage di immagini e parole, come un compito da svolgere, come una ricerca nel reale, ci è sembrato il modo più semplice e vivo per rispondere al desiderio di voler raccontare noi stessi; in questo momento in cui ci stiamo accorgendo di un nuovo inizio, di un’attenzione nuova e proprio mentre si delineano con più intensità anche molti problemi e diverse sofferenze, sociali, strutturali che, per altro, la città ha sempre incontrato e vissuto nella sua storia.

“…percosso da novo crescente romor”, così, nel Coro dell’Adelchi, Manzoni descriveva gli albori della rinascita del popolo milanese. Ma chi è percosso? Il “volgo”, il popolo, tu, io. Lo scrittore definisce “disperso” e che “repente si desta, percosso da novo…”.
In un momento di rinnovamento e riflessione che Milano sta vivendo e di cui sovente si parla percepiamo il preannuncio di qualcosa, di un futuro complesso o, come allude il Manzoni, di popoli alle porte –nell’Adelchi arrivavano i barbari/Franchi; ma esso può essere anche “il bisbiglio che già viene” di cui parlava un altro lombardo, Clemente Rebora nella sua poesia “Da l’immagine tesa”: il bisbiglio dell’accadere del reale nel suo quotidiano rumore di bellezza e di prova, sotto l’urgenza di ritrovare il gusto del vivere e l’unità della vita.
Vogliamo ridirci che è dentro quell’originale condizione di essere tutti fatti per la verità e di desiderare un senso delle cose che prende forma una cultura, cioè quel valore che si riconosce che risponde alla vita.
Una cultura ha generato una città, una convivenza, non una casualità o il semplice bisogno; ma è la sua consapevolezza nel presente che la continua e rinnova. Sono i suoi eredi che edificano o distruggono ‘quella’ città.

Il ritratto di Milano, invece, che ci viene dalla nostra fatica o dall’informazione non può suggerire dove risieda la risorsa e il motivo che fa di Milano una città esistente.
La prima è una condizione necessaria, non un punto di vista, e quando lo diventa propone solo il lamento, la seconda interpreta, spesso riduttivamente, la vecchia definizione di giornalismo ‘fare da cane da guardia per la società, abbaiare e lanciare l’allarme’, diventando documentazione prevalente del continuo mancare delle cose e poco del suo costruirle.
L’alternativa non può essere neppure identificare l’immagine di una città -l’orizzonte che collega tutte le singole realtà di una realtà complessa come una convivenza- nella competenza o nella tecnica intesa come “non si può che fare così”. E allora avremmo (e abbiamo) la città dei magistrati, dei taxisti e di tutti gli specialisti, anche della cosiddetta cultura ridotta a branchie (culture) e saperi al plurale.
Può venire in mente il verso di un grande poeta, Nobel nel…, ispirato ad un’altra grande metropoli, Londra, T. S. Eliot quando ci dice “dov’è la saggezza che abbiamo perduto sapendo, dov’è la sapienza che abbiamo perduto nell’informazione” o “che vita è la vostra se non avete vita in comune?

….Non esiste vita se non nella comunità..”
“E ora vivete dispersi su strade che si snodano come nastri,
E nessuno conosce il suo vicino o si interessa a lui
A meno che il suo vicino non gli arrechi troppo disturbo,
Ma tutti corrono su e giù con e le automobili,
Familiari con le strade ma senza un luogo preciso in cui risiedere.
E nemmeno la famiglia si muove tutta unita,
Poiché ogni figlio vorrebbe la sua motocicletta,
E le figlie cavalcano sellini casuali.”
“Edifichiamo invano se il Signore non edifica con noi.
Potete reggere forse la Città se il Signore non resta con voi?
Mille vigili che dirigono il traffico
Non sanno dirvi né perché venite né dove andate.”

Un reportage, per partire prima dalle tracce dell’esistente per suggerire e condividere un giudizio poi. Abbiamo voluto guardare e pensare. Trovare immagini -con l’arte della fotografia di tre giovani ed affermati autori, cresciuti a Milano anche nell’insegnamento di un modo di fotografare imparato qui- e dialogare, sedendosi al caffè di luoghi diversi, con alcuni giornalisti e dei veri protagonisti della vita della città, per recepire come vivono e perché trarre spunto per prospettive e indicazioni.
Guardare e parlare non di un immagine già prefabbricata ma cogliere il movimento, l’andare sensato ed esistente della città. Con la parzialità inevitabile di una sintesi ma con la certezza che è cercando il punto di vista che sta muovendo le persone che si coglie dove siamo, come si diceva, e perciò possiamo giudicare cosa si vive.
Un reportage alla ricerca delle radici di quel ‘non fatalismo’ che si incontra a Milano, di quell’ambrosianità appunto-che certo la Chiesa ha in custodia ma deve anzitutto vivere, come gli altri- che prende forma in una speranza legata alle esigenze del cuore e alla convivenza come fatto che le evidenzia comunitariamente. Quel volto della città condivisibile da tutti e che spesso, non essendo richiamato, viene relegato in ultimo piano rispetto alle emergenze o non considerato la forza vitale della città.

Camillo Fornasieri,
Direttore del Centro Culturale di Milano


Incontro con:
Giovanni Chiaramonte, fotografo
Letizia Moratti, sindaco di Milano
Camillo Fornasieri, direttore del Centro Culturale di Milano

C. FORNASIERI – Abbiamo cercato cinque personaggi della vita della città che rappresentassero dei lavori, degli intenti, significativi che rappresentano Milano. Sono qui presenti Giorgio Vittadini, Docente di Economia dell’Università Bicocca di Milano, Presidente della fondazione per la sussidiarietà, Stefano Boeri, Direttore di Domus e architetto, Paolo Galassi, Santo Versace e Giulio Sapelli. Persone che abbiamo scelto noi, che sentivamo vicine per il loro contributo. Abbiamo chiesto a dei giornalisti di intervistarli e prestare il loro lavoro per il catalogo dell’editore Cusl, casa editrice sorta non a caso dall’esperienza di alcuni giovani, che sentivano delle consonanze, delle attese, degli spunti critici che creano un tessuto comune. Io lascio una domanda aperta all’intervento successivo di Giovanni Chiaramonte che è fotografo e critico di fotografia, ecco la domanda che ci siamo fatti è “Che cosa ci tiene insieme, cosa tiene insieme la convivenza, la città, in una storia come quella di Milano?”. E’ una domanda audace, come credo sia audace voler fare un racconto della città non dal punto di vista sociale, per categorie, per eccellenze, per disagi, ma con uno sguardo sintetico, cioè culturale; noi crediamo, anche per la storia che abbiamo, questo punto di vista sintetico non possa che essere un ritrovare nel presente, quegli elementi che uniscono la persona, che riguardano in fondo il suo cuore, il suo desiderio e la cultura che da essi è nata, che è la cultura cristiana, il senso religioso, la cultura riformista, socialista, laica, liberale….che in vari tempi e momenti, si è legata al tessuto e valore comune. Noi pensiamo che oggi vadano indicati nuovamente questi elementi, come fattore costruttivo e non tanto semplicemente nel tema della competenza, che è ovvio che è necessario, ma ciò che non è ovvio, e che noi ci sentiamo di voler ridire in questa occasione è che va indicato come fonte primaria del fattore città.
Saluto e ringrazio anche Stefano Boeri. Do la parola al presidente Scarfone e a Giovanni Chiaramonte.

G. CHIARAMONTE – Io ringrazio il presidente Camillo Fornasieri e tutte le figure del Comune Milano, dal sindaco a tutti gli assessori che hanno permesso a una storia particolare, che come tutte le storie è una vicenda personale, singolare, di poter essere davvero una storia milanese. Una prova per cui Milano, nella storia dell’occidente, ha un suo destino è proprio la parola “comune” e a Milano la parola “comune” è diventato sinonimo di una appartenenza; comune è anche ciò che si sceglie, nel mistero del proprio cuore, come destino personale, singolare costruito sulla libertà, la quale è la caratteristica che, dai tempi di Ambrogio, questa città in tutti i momenti drammatici ha sempre tirato fuori. Questo credo sia anche l’esito di un cammino di riflessione che, in un momento abbastanza drammatico di transizione di questa città, Milano sta vivendo. “Milano XXI secolo” è un’opera che sicuramente si situa dentro la grande dimensione innescata da Luca Doninelli con il suo volume, una riflessione sulla crisi di Milano . Quali sono le ragioni? Io sono un’artista, un fotografo, venuto, come Santo Versace, da un paese del sud e la mia famiglia ha trovato in Milano il luogo del proprio destino, ma proprio per questa dimensione di appartenenza della libertà, dove questa appartenenza si gioca nell’opera, nel lavoro. Una cosa che l’opera milanese ci insegna è che l’immagine, la forma della città nella pittura, nella scultura, nell’architettura, nella vie, nasce dalla consapevolezza che l’uomo ha di non poter essere solo sé stesso, che l’uomo è sempre di più, è più grande di ogni sua definizione e che in questo deve dare una nuova forma, un nuovo contenuto. La vicenda da cui sono nate queste immagini, nasce da una scuola, una scuola del comune di Milano; perché questa città nella fine dell’Ottocento e Novecento, ha avuto un tessuto di scuole civiche, comunali , che hanno garantito l’accesso alla vita, alla storia di frange immani di giovani . Cito un solo artista, Carlo Carrà, il quale proprio in una civica scuola ha incontrato il suo destino di grande artista del Novecento.
Così è nata l’avventura di questa scuola, un po’ di anni fa, dove questi, allora giovanissimi, ragazzi: Tosatto, Ricardo Francone, che arrivava dall’Argantina, hanno trovato nella scuola un ambito, un incontro con la storia di Milano, perché quello che ho cercato di insegnare a loro, non è stato una tecnica, ma è stato una sola cosa: appartenere alle immagini che hanno fatto Milano grande, all’immagine che Milano ha di sé e quindi educarli, io dico, a una genealogia, a una capacità di rendersi conto che si è generati dal luogo in cui si vive e che proprio per questo dobbiamo generare. questo è ciò che questi giovani fotografi hanno fatto, rimanendo a Milano tra mille difficoltà, decidendo di fotografare questa città, la quale da troppo tempo manca, non di grandi racconti, che continuano a essere fatti, ma che manca di luoghi dove questi racconti possano essere messi a disposizione di tutti.
Io spero che questa mostra, da questo piccolo luogo, che è riuscita a essere adesso in una via, possa avere via via dei luoghi civili dove poter essere trasmessa e fatta diventare patrimonio comune.

L. MORATTI – Io è con grande piacere che sono qua con voi questa sera e ho ascoltato, condividendo davvero dal profondo del cuore le parole che ho ascoltato. Alcune parole sono quelle che abbiamo dentro il nostro cuore ma che a volte non riusciamo o non vogliamo esprimere: la persona, il senso di appartenenza, la comunità, il comune come il luogo nel quale insieme si costruisce il futuro della città. Ecco, io credo che proprio per questo motivo, una mostra come questa che riesce attraverso uno strumento, che quello delle immagini, a trasmettere quello che sta sotto queste parole, il valore che sta sotto queste parole è una mostra importante. E’ una mostra nella quale vediamo Milano così come è, quella Milano che non è filtrata dai media, dalle critiche, dalle ideologie, dalle diverse culture; è l’immagine di una nostra Milano, della nostra vita quotidiana, di una vita fatta del risveglio alla mattina, del viaggio in treno, dello star seduti in una panchina in un parco, di giocare col proprio nipote a pallone, ecco immagini di vita quotidiana. Ma sotto queste immagini di vita quotidiana c’è qualcosa di profondo , c’è una trama in queste immagini , è la trama che è già stata raccontata, è la trama che rimette di nuovo al centro della nostra vita quotidiana di nuovo la persona, le capacità di relazioni delle persone, lo stare insieme per costruire insieme la nostra città. Questo credo sia il grande valore di questa mostra ed è anche il grande valore di questo Centro, perché questo Centro, da oltre venticinque anni è sempre stato capace di far vivere iniziative, manifestazioni, incontri nei quali l’elemento centrale della persona e delle sue relazioni è sempre stato l’elemento portante rispetto a tutte le iniziative e le attività del centro; strettamente collegato alla dimensione del territorio, questa è l’altra grande dimensione da recuperare. Noi viviamo in un mondo dove ormai i confini non esistono più, non esistono confini di spazio, non esistono confini di tempo, ormai siamo abituati a messaggi che vengono trasmessi sempre più rapidamente, abituati a viaggi che si accorciano. Credo che in questo mondo così globale è importante saper mantenere salde le proprie radici, perché senza queste ci smarriamo in un mondo così vasto e sconfinato, bello, interessante, dinamico, straordinariamente stimolante il rischio di perderci esiste. Allora, anche per i giovani, la capacità di leggere la propria città, interpretarla quindi diventando protagonisti: questo, credo, è un altro grande importante messaggio di questa mostra, ragazzi protagonisti attraverso quello che loro vedono coi loro occhi di questa città che si racconta in modo semplice, che si racconta attraverso queste, davvero bellissime immagini, e da ultimo questo elemento che considero altrettanto positivo, di far vivere la mostra non solo all’interno di questo meraviglioso spazio, ma anche nella città: un mese in questa via . Io credo che anche questo sia un elemento da valorizzare ulteriormente: far vivere la città; tutte queste nuove espressioni d’arte, come innanzitutto la fotografia, possono essere il modo in cui i giovani in città, nella loro città possono sentirsi protagonisti. Quindi un ringraziamento a questo Centro che ancora una volta ha dimostrato, attraverso queste immagini, attraverso le testimonianze illustri di chi ha raccontato (Santo Versace, Galassi) di tutti i personaggi e poeti che hanno raccontato queste immagini, un ringraziamento per avermi dato l’opportunità di vivere con voi questa bellissima serata. Grazie.


Milano in un click
La metropoli lombarda raccontata in 120 immagini, esposte dal 4 ottobre al 10 novembre al Centro Culturale di Milano. Accanto alle foto, un libro di interviste a intellettuali ed esponenti della vita cittadina curate da giornalisti e scrittori.

Piazza Duomo in uno scatto di Tosatto
Una mostra di fotografia, un libro e un dibattito. Per raccontare con l’immagine e la parola la vita di Milano. Centoventi immagini sono esposte dal 4 ottobre al 10 novembre nelle sale del Centro Culturale di Milano, mentre scatti di formato più grande sono collocati all’aperto lungo tutta via Zebedia fino alla Basilica di Sant’Alessandro, nel cuore della città.
Un reportage originale, con oltre 3000 scatti di grande impatto e intensità, frutto di una campagna di tre mesi realizzata da tre giovani professionisti, cresciuti nella scuola della fotografia milanese e oggi protagonisti di importanti agenzie internazionali: Alessandro Tosatto, Silvia Morara, Walter Ricardo Francone.
Il libro-catalogo, di CUSL editore, oltre agli scatti, comprende interviste a intellettuali ed esponenti della vita milanese curate da giornalisti e scrittori. Luca Doninelli, Stefano Zurlo, Giuseppe Frangi, Maurizio Crippa, Maurizio Caverzan chiedono di raccontare la loro Milano a Stefano Boeri, direttore della rivista “Domus”, a Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione Sussidiarietà, a Giulio Sapelli, docente di Storia Economica all’Università degli Studi di Milano, Paolo Galassi, presidente di Confai e Apimilano, a Santo Versace.

Piazza Cadorna vista attraverso l’obiettivo di Francone
La sequenza degli scatti e le interviste propongono un ritratto della Milano di oggi e le sue prospettive per il futuro.
Nell’arco di una giornata si rappresenta la vita quotidiana: il lavoro, il tempo libero, la scuola e l’università, la moda e l’editoria. Gli individui – famiglie, single e extracomunitari – sono ritratti negli ambienti e nei luoghi simbolici della città: le boutique del centro e le periferie multietniche, i quartieri storici e i nuovi cantieri.
Il Centro Culturale di Milano, istituzione cittadina nata negli anni Ottanta per volere di Don Giussani, promuove questo lavoro per i suoi 25 anni di attività e offre l’occasione per riflettere sul ruolo della “capitale morale” all’interno della cultura contemporanea. Il tutto sarà riassunto in un dibattito che si terrà con i protagonisti del libro e della mostra.

Milano XXI secolo
CMC – Centro Culturale di Milano, via Zebedia 2, tel. 02.86.45.51.62, www.cmc.milano.it
Dal 4 ottobre al 10 novembre
Orari: lun.–sab. 10-13 e 15-18. Chiuso domenica
Ingresso gratuito

Laura Civinini
Corriere della Sera – Viaggi con Dove


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