L’oblio dell’immaginazione
“L’oblio, come in un’enfasi di divinità che, per incanto, tenta di richiuderci gli occhi.”
Nella vita siamo spesso soggetti a fare cose dettate dall’immaginazione. Non seguire o rifiutare questa iniziativa sarebbe come rinnegare l’idea di un grande peccato. Essendo l’immaginazione legata alla dimensione invisibile, a quelle idee che ci arrivano tramite una vocina interiore, ignorarla equivarrebbe a non ascoltare la voce del “Dio” creatore, o di ciò in cui “credi”.
“…Potrei definirmi un folle a credere in qualcosa che non si vede, se non fosse che fotografi come Mario Giacomelli ci hanno fatto vedere l’esistenza.”
Mario Giacomelli. Interrogando l’anima, a cura di Enzo Carli, edizioni Lussografica, Caltanissetta 2000
Quanto sarà importante in questa era digitale in cui la mente stessa è stata trafugata dai bit? In questa dimensione “artificiale” quanto è importante seguire questa immaginazione, dare ascolto a quel senso profondo dell’essere umano, la quale di per sé, è la nostra creatività, la capacità nel fare qualcosa di nuovo, compresa la propria “arti_ficialità”.
Il nuovo è il luogo in cui l’uomo incontra il suo viaggio, quel senso di scoperta. Forse è proprio questa novità che ci permette di non essere schiavi di una prosecuzione meccanica nel tempo di un’idea. AI “acronimo d’intelligenza artificiale” rappresenta l’inizio di una nuova era, in cui l’uomo sarà costretto alla propria evoluzione: dovrà fare ricorso a tutti i suoi sensi, che oggi, nella realtà di una vita legata al flusso numerico degli affari, sono stati accecati, soffocati e perfino soppressi. È questa privazione che ha portato l’uomo a desistere dalla sua naturale esistenza.
In questo pensiero che si sviluppa tra un “se” o un “ma”, quale spazio si prospetta per la vita dell’uomo? In una realtà così frenetica, in cui le proprie azioni non trovano il tempo di lasciare traccia, il risultato è una lunga scia di luce e, addirittura, persino di fumo. Un contesto puramente dinamico, in cui anche le azioni di puro valore non hanno il tempo di diventare storia.
Forse, in questo contesto – in questa, per così dire, dinamica concettuale – potremmo definire la fine della storia. È un pensiero al quale io stesso faccio fatica a credere, ma che rientra ancora nella sfera di un “se” o un “ma”. Un’idea di mondo in cui l’idea stessa non avrà più alcuna importanza. In questa mancanza d’affermazione, per l’uomo non avrà senso costruire e conservare qualcosa di duraturo nel tempo.
Se volgiamo lo sguardo al concetto di “peccato originale”, nella letteratura biblica vi è un chiaro impedimento alla curiosità, al sapere, alla conoscenza:
“L’oblio, come in un’enfasi di divinità che, per incanto, tenta di richiuderci gli occhi.”
Nel concepimento del peccato, aprire gli occhi e vedere, porta con sé una condanna esplicita, che spinge l’uomo lontano, in un viaggio alla ricerca della propria esistenza.